Sopravvivere è ciò che conta di più nella nostra esistenza. Siamo “costruiti” per questo. Se ci troviamo in una situazione che minaccia la nostra sopravvivenza – il leone che salta fuori dal cespuglio, l’autobus che ci sfreccia davanti mentre stiamo per attraversare – il corpo entra in “modalità reattiva”: la circolazione si velocizza, il sangue diventa più denso per coagulare velocemente, il metabolismo accelera per bruciare energia mentre zuccheri e grassi vengono liberati nel sangue, cominciamo a sudare, il sangue si concentra nei muscoli perché siano pronti per reagire.
Dal punto di vista dell’attenzione, siamo concentrati su quanto sta accadendo qui e ora, perché dobbiamo sapere dove si trova il pericolo. Dobbiamo vedere le via di fuga. Saremo più veloci, e più forti e avremo maggior resistenza del solito per un breve periodo di tempo.
E’ una risposta strutturata per essere attivata solo di tanto in tanto e può davvero fare la differenza fra la vita e la morte.
Purtroppo, nella vita moderna ci troviamo spesso a preoccuparci per quanto potrà accadere nel futuro oppure ri-viviamo eventi negativi del passato, oppure, ancora, ci sentiamo minacciati anche quando non lo siamo. E, così facendo, attiviamo la risposta di “fuga o lotta”. In breve, entriamo in uno stato di stress.
Un’attivazione del sistema, però, quando è inutile ci fa stare male. E se ciò accade spesso, produce un logoramento del nostro sistema (si chiama carico allostatico), con conseguenti abbassamento delle difese immunitarie, accelerazione dell’indurimento delle arterie (che porta a infarti, ictus, scompensi metabolici, pressione alta, glicemia alta, colesterolo), ecc.
Si verifica anche un danno al cervello, perché gli ormoni dello stress (adrenalina e cortisolo) sono neurotossici, e quindi danneggiano le cellule cerebrali a lungo andare. Le aree più colpite sono il centro della memoria (l’ippocampo) e la corteccia prefrontale, la nostra zona operativa, l’area dell’elaborazione decisionale.
L’unica parte del cervello che si accresce è il centro dello stress, che diventa sempre più grande e più reattiva.
Quando siamo sotto stress, il tronco encefalico (sistema di sopravvivenza) mostra un aumento dell’attività elettrica e del flusso sanguigno rispetto ai lobi frontali che invece rallentano sensibilmente. Questo limita la funzione cognitiva e lo svolgimento di determinati compiti.
Gli studenti che lavorano in modalità di sopravvivenza troveranno impossibile mantenere l’attenzione in classe, perché il loro sistema di iper-vigilanza inconscio li allerta ad ogni suono o movimento. Gli occhi – bloccati per cogliere le minacce provenienti dai lati – faticheranno a concentrarsi sul campo mediano (e quindi a leggere e scrivere). La capacità logica sarà minima e, col tempo, matureranno sfiducia, frustrazione e l’idea che non ci sia alcuna alternativa a questo stato.
Essere consapevoli di questo meccanismo del cervello ci aiuta a comprendere che, spesso, non si tratta di “non impegnarsi abbastanza” o di non metterci sufficiente volontà. E’ questione di come siamo fatti. E ci insegna che, se impariamo a riconoscere i segni dello stress, possiamo gestirlo e controllarlo.